A Ischia: io, lei e il pancione (seconda parte)
Aspettiamo che escano tutti dal traghetto e poi iniziamo anche noi a scendere per le strette scale dell’imbarcazione.In estate, la banchina del porto di Ischia è un ammasso di gente che s’imbarca, che scende, che aspetta, che saluta, che perde tempo, che guarda.
In quest’ultima categoria rientrano a pieno titolo i tassisti.
Un istante prima stanno discutendo animatamente di qualcosa, l’istante che tu gli passi vicino si fanno silenziosi e ti iniziano a guardare come il gatto col topo. Ti aspetti che da un momento all’altro possano fare un balzo, afferrarti con i denti e portarti nei loro taxi per consumarti poi con calma.
In realtà dobbiamo fare poco più di un chilometro.
Da Ischia Porto all’Hotel Europa (che si trova a Ischia Ponte) è veramente una passeggiata piacevole.
Tuttavia, la nostra borsa, per l’occasione abbastanza pesante, il caldo e il pancione ci fanno propendere per un aiuto su quattro ruote.
Un po’ defilato rispetto al gruppo di tassisti “felini” ce n’è un altro.
E’ un vecchietto dalle mille rughe e dai capelli bianchissimi che contrastano con la pelle abbronzata. Se ne sta pensieroso e appoggiato al suo furgoncino-taxi.
Non sembra troppo interessato nè al flusso dei turisti nè ai discorsi dei colleghi.
Gli chiedo direttamente se ci può portare in hotel.
Lui dice di sì quasi senza pensare o guardarci mentre alle mie spalle sento gli altri tassisti iniziare subito a prenderlo in giro e a fare battute. Chissà perché.
Capisco solo la frase “sei sempre lo stesso” pronunciata, ovviamente, in dialetto ischitano e con un fare accusatorio.
Essere presi in giro ed essere isolati è un mondo che ho esplorato a fondo nella mia prima adolescenza. Oggi si chiamerebbe bullismo. Ed oggi come ieri è solo un modo per un gruppetto di pochi, spesso violenti o ex-vittime a loro volta, di acquistare consenso, fama e autorità prendendo di mira chi o è diverso fisicamente o lo è nei comportamenti.
Si dice che ciò che non ti uccide ti fortifica. Io sono sopravvissuto alla mia adolescenza, mi sono (un po’) fortificato ma da allora ho sempre fatto un tifo sfegatato per gli emarginati, i più deboli, quelli che non sono alla moda, quelli che mantengono le loro idee anche nella corrente contraria (e il dileggio) dei conformisti.
Il vecchio tassista, una volta iniziato il tragitto verso l’hotel, si rivela molto simpatico e chiacchierone. Ci dice, molto sommariamente, che i suoi colleghi non lo sopportano perchè lui con i turisti instaura sempre un buon rapporto e così vogliono viaggiare solo con lui. Addirittura, quando tornano a Ischia, lo chiamano al cellulare e si fanno venire a prendere al porto. Dopo poco mi ritrovo col suo biglietto da visita in mano (“Per qualsiasi cosa, dottò..”).
Con grande orgoglio ci fa vedere la licenza “numero 2” rilasciata al padre, tra i primi tassisti a Ischia, e da lui ereditata.
Mi verrebbe da chiedere chi è stato il “numero 1” ma poi non vorrei che quella bella espressione serena si nascondesse di nuovo nel mare di rughe e pensieri.
Lui invece ci chiede tra quanto tempo accadrà il lieto evento e quando Lorena gli dice che mancano ancora una cinquantina di giorni, lui ci guarda dallo specchietto retrovisore un po’ sorpreso.
Dice: “Signò, pienzav che era ‘na cos’ e’ juorn!” [“signora, credevo mancasse veramente poco”].
Sorridiamo, poi mi ritrovo a guardare l’ingombrante contenitore di nostro figlio pensando a quando ricorderemo questi giorni con grande nostalgia.
[fine seconda puntata]
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